Storia

Valbondione prende il nome dal principale affluente del Serio, il Bondione.

La prima volta che questa denominazione compare è in un
documento del 774, firmato da Carlo Magno.
In questo documento Carlo Magno dona alla canonica di Thours (parigi) terreni e pertinenze che si trovavano in Bondellionem ed in val di Scalve.
Etimologicamente questo nome significa “convalle,
conca, recesso di montagna”.
Per lungo tempo Valbondione appartenne alla comunità di
Scalve poi una sorta di autonomia economica fu dichiarata nel 1202 con la formazione del comune dei 10 denari che comprendeva alcune delle contrade principali con esclusione di Bondione e Fiumenero.
Nel 1979 la Grande comunità di Scalve suddivise i suoi beni tra le diverse contrade (Lizzola, Fiumenero e Bondione) con l’esclusione del comune dei 10 denari che restò fino al 1806.
I primi insediamenti in questo territorio risalgono all’epoca romana. Un importante
numero di schiavi si diresse in queste zone per lavorare alle miniere di ferro
scoperte a Lizzola. Da qui le prime abitazioni che avrebbero costituito l’agglomerato urbano.
Nei secoli a seguire le famiglie del luogo traevano sostentamento dall’attività mineraria e dalla pastorizia.

Il comune dei 10 denari

Il cippo di confine posto sul provinciale tra Gromo San Marino e Fiumenero riporta la data 1736 e testimonia l’appartenenza giuridica ed ecclesiastica dell’alta Val Seriana alla vecchia “Repubblica di Scalve”.

Ma la storia di questo comune inizia molto prima, nel 1202, quando le contradelle del Serio furono unificate: Mola, Gavazzo, Dosso, Torre, Beltrame, Grumello, Pianlivero, Grumetti e Maslana, escludendo Fiumenero e Bondione, più grandi ed indipendenti.

Ottennero l’indipendenza dalla Comunità di Scalve, pur continuando a farne parte.

Al comune dei 10 denari venne assegnata la quota spettante dei beni della comunità in decima parte (da qui il curioso nome) e il comune si impegnava a pagare la novesima parte alle pubbliche spese.

Nel 1927 il Comune dei 10 denari si fuse con gli altri borghi, costituendo l’attuale Comune di Valbondione.

La storia delle cascate del Serio

Il fiume Serio nasce sul Monte Torena, che divide la Val Seriana della Valle di Pila.

Percorre il piano del Barbellino e si getta dirompente dando vita alle Cascate del Serio.

Le acque scorrevano naturalmente fino al 1931. In quell’anno terminarono i lavori di costruzione alla Diga del Barbellino che entrò in funzione.

Dal 1931 al 1969 le cascate scomparvero, la diga non venne aperta.

Con il Sindaco Riccardi M. Lorenzo, il 20 luglio del 1969, vennero riaperte.

Accorsero per la riapertura circa 20.000 persone. Ebbe una tale risonanza che arrivarono escursionisti a Valbondione anche nei giorni successivi.

Da allora le Cascate furono visibili almeno una volta l’anno, fino alle cinque aperture attuali.

Dal 2008, nel mese di luglio, le Cascate sono aperte in versione notturna.

Il dialetto

Il dialetto bergamasco è un dialetto della lingua lombarda appartenente al ramo lombardo orientale.

Il bergamasco è derivato dal latino volgare innestato sulla precedente lingua celtica parlata dai Galli. Con il trascorrere del tempo ha subìto varie modifiche, le più importanti delle quali sono avvenute durante le dominazioni longobarde che hanno lasciato terminologie germaniche entrate a fare parte del linguaggio comune (ad esempio, tus e tusa a indicare “ragazzo” e “ragazza”, scet a indicare “figlio”, buter a indicare “burro”, ecc.).

I parlanti il lombardo occidentale e altre lingue gallo-italiche lo ritengono poco comprensibile poiché, nonostante alcune somiglianze lessicali e morfologiche, possiede una fonetica molto stretta e diversa da quella di lingue e dialetti circostanti.

Il dialetto bergamasco è stato a lungo oggetto di studio, di commenti e di confronti con l’italiano e con altri dialetti. Vari autori l’hanno dileggiato riducendolo, in maniera superficiale, a parlata macchiettistica esclusiva della gente più incolta e umile.

Il dialetto bergamasco è parlato a Valbondione, nelle sue diverse varietà. Ha origini antiche, è attestato nel Basso Medioevo da diversi atti di transazioni private, ma anche da alcuni componimenti poetici fatti risalire alla prima metà del XIII secolo.

In particolare poi troviamo il GAI’ Si tratta di un linguaggio particolare,ormai scomparso, come un codice parlato dai pastori bergamaschi e bresciani.

Un linguaggio criptico dove la mimica del volto integra e spiega le pause e i silenzi dei dialoganti: il gaì non si parla, si recita:

«… bisogna sentire due pastori parlare tra loro per assaporare tutto il fascino che assumono i termini gaì in simile contesto; per apprezzare la straordinaria ricchezza mimica che ne accompagna l’emissione…»
(Comune di Bergamo, Il linguaggio e la vita dei pastori bergamaschi.)

 

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